Kahlil Gibran
E’ una bella estate. Nonostante l’ultimo anno, nonostante l’intervento chirurgico, l’ennesimo, e i 6 mesi che sono stati necessari per il recupero: una riabilitazione lunga, dolorosa e difficile, nella quale ho messo così tanto impegno da riuscire ad addormentarmi mentre stavo seduta a pranzo, quando ero ancora in ospedale. Nonostante gli ultimi imprevisti strascichi. Appunto: gli ultimi. Piaccia che sia così perché non sono il tipo di persona che permette alla conseguenza difficile di un evento, nesessario e indispensabile, di cambiare troppe carte in tavola.
Anche se nei confronti dell’ottimismo sono sempre diffidente: non riesco mai a esserlo fino in fondo. Penso “sì, andrà
bene”, ma mi riservo sempre quel margine di salvezza, quel “potrebbe anche
succedere il peggio”, quella lingua di sabbia all’orizzonte dei problemi alla
quale puoi approdare se la tempesta si facesse troppo grande.
E’ la relazione privilegiata di chi ha attraversato molte
strettoie.
Troppo superficiale pensare che tutto debba per forza andare
per il meglio. Troppo incauto non riservarsi un’isola emotiva a cui attingere
forza se le cose non andassero per verso giusto. Troppo artificiale. Troppo tipico di chi non ha mai affrontato
troppi tornanti in salita e in mezzo a tempeste di neve.
Troppo.
Mi sono sempre ripromessa di non parlare della mia salute
troppo apertamente, ma ultimamente mi risulta difficile. E’ tutto troppo
invischiato con il quotidiano, con le questioni più semplici di ogni giorno,
quello che sarebbe e dovrebbe e che, nella vita della maggior parte delle
persone, è automatico dare per scontato.
Sono i momenti di analisi, il soppesare quello che ti
accade, come condiziona la tua vita, in quale modo. Cosa puoi fare, come. Quali
sono le prospettive che ti si aprono di fronte, quali quelle che si chiudono.
Quali le “cose impossibili”, e quali di queste "cose impossibili" è possibile invece realizzare.
Scriverne? Utilizzare tutto questo materiale per un romanzo?
Forse queste sono le prove generali. Forse non so bene dove vado ma è proprio
lì che sto andando.
Ma non è solo l’estate, è la mia vita che mi piace.
Mi piace come ne sono uscita fuori. Mi piacciono gli
accadimenti felici e quelli difficili, perché ogni cosa ti costruisce. Mi piace
perché non è ridotta ai minimi termini della banalità, nè mai lo sarà. Mi piace
con i suoi pro e i suoi contro, con le sue sfide perché ciascuna di esse ha
contribuito e contribuisce a irrobustirmi l’anima.
Mi piace perché ho fatto in modo che mi somigli, e perché
non sono io a somigliare a lei.
Un privilegio riservato a pochi, e di questo mi sento onorata.
(Girasoli nelle golene verso Gazzuolo. L'estate della Bassa è anche così.)
♫ The Cure: Want