giovedì 6 febbraio 2025

La mia Terra

-La Bassa. La fettaccia di terra grassa, coricata lungo la riva del Po, nella piana frastagliata dagli argini.
E la gente che nasce in quei posti ha la testa dura come la ghisa.
La città? Roba dell'altro mondo.-

Ogni posto ha qualcosa che parla solo a chi ci è nato.
E il Paese sull'Acqua, il mio Paese, parla la lingua che anche io conosco.

Ho avuto la fortuna di crescere in un tempo in cui i soffitti avevano vecchie travi di legno, le case un'aia in cui giocare, le cantine i tini e le botti che servivano per fare il vino, le vigne dietro casa e gli orti vicino al canale.
Ho visto mia nonna districare i fili di lana sulla "guindolina" e arrotolarli in un gomitolo, ho guardato le persone pulire le stufe a legna, fare le conserve di pomodoro in estate e le scope di meliga in inverno.
Ho visto perfino la  "battitura" del grano sull'aia, con "al svarsèl", la coppia di bastoni di legno  tenuti insime con un anello di metallo, usati per questo scopo.

La ronchina, la  roncola piccola, richiudibile, da tasca, all'epoca era "multitasking", come diremmo  oggi: i nostri Vecchi tagliavano il grappolo dell'uva, l'erbaspagna per i conigli, tiravano su famiglie di prataioli in autunno, la usavano come metodo di "comunicazione non violenta", magari per aggiustare il discorso dopo una briscola particolarmente intensa all'osteria.
Il padre di Tonino, la persona da cui tanto ho attinto per "Pedar", la portava sempre in tasca: un uomo che aveva fatto due guerre, che si faceva le salite di argini alti dodici metri in bicicletta fino alla soglia dei novant'anni, col forcone e il rastrello appoggiati alla spalla.

Cose di poco conto per il mondo, ma che nel piccolo Paese sull'Acqua hanno un valore tutto loro, profondissimo: sono la memoria storica della Terra Bassa, raccontano chi è stato prima di noi e ha costruito le basi di ciò che noi siamo ora.

La Memoria Storica, sì.
Un termine che uso molto spesso, che amo.

Ogni posto ha qualcosa che parla solo a chi ci è nato. Perché la lingua che usa è quella che si apprende solo lì, e solo chi ha vissuto lì per tanto tempo la può capire. È una lingua difficile da imparare: occorrono tempo, pazienza e il saper sentire più che vedere.

A volte certi linguaggi sono più semplici, e si imparano più in fretta. Il mare parla forte, è chiaro quel che dice. Altre volte perfino la voce è diversa. Il Paese sull'Acqua parla con voce di Vecchio e sa dell'odore dell’Oglio nei tramonti d'agosto. E declama una poesia più semplice, che alcuni direbbero povera, ma che ha la bellezza del Grande Fiume e dei Pioppi, versi che si dipanano come quel filo di lana, tra l'incontro con il Fiume Oglio, gli edifici austeri della Bonifica, i canali e il Ponte di Barche.

Cose di un valore relativo per chiunque altro, me che per noi, venuti su a "sole che martella sulle teste della gente" sono assolute a prescindere, poiché hanno creato il nostro paesaggio interiore più importante.

Gli scorci del Paese sull'Acqua sono anche i miei, perché io appartengo a questa Terra.

-Un "Po" di Noi-