venerdì 31 agosto 2018

Della Qualità del Tempo

Capita di domandarsi se rispetti e se onori a sufficienza la tua Vita, in che modo lo fai, con che misura. Capita quando ti rendi conto che non hai, nessuno ce l'ha, tutto il tempo del mondo.


♫ Pink Floyd: Time

sabato 16 giugno 2018

Le Interviste, quelle Importanti

In questi giorni ho ricevuto una serie di domande da parte di giornalisti molto importanti.


Devo dire che questa è una delle interviste più difficili e interessanti a cui sia stata sottoposta. Qui di seguito troverete domande capaci di regalare profondi momenti di riflessione, domande importanti.
Importanti non per merito mio, ma per la profondità che i piccoli giornalisti sono riusciti a toccare. Cosa che raramente ho visto negli adulti.

Ringrazio quindi i giornalisti in erba della classa 5^B Scuola Primaria Trento Trieste I.C. Cremonauno, la maestra Silvana Loccisano e il Dirigente Piergiorgio Poli, il signor Nicola Arrigoni per questa esperienza, che ha avuto la capacità di rimettermi a contatto con la bambina che sono stata, e che ricordavo come una vaga ombra.

Un'intervista così importante va messa di diritto nella categoria "Press Area", assieme alle interviste dei giornalisti adulti. :)

Pronti? Via.

1-“Ciao Chiara, ti abbiamo visto pilotare un aereo, eri molto carina con quel cappellino.Come ti è venuto in mente di pilotare un aereo?

Beh, non è esattamente "pilotare". Ho vissuto solo una piccola esperienza come passeggero l’anno scorso. A dirti la verità non so bene come sia nato in me questo interesse, chiamiamolo così perché nel mio caso la parola “passione” sarebbe troppo impegnativa e per una questione di correttezza è giusto lasciarla a chi il brevetto da pilota ce l’ha davvero e non a una svolazzatrice della domenica come me.
Comunque, è iniziato tutto dopo il mio primo volo di linea. Avevo una paura maledetta dell’altitudine e tra l’altro soffro anche di vertigini. Quindi decidere di fare un viaggio in aereo, a quell’epoca, per me è stata un po’ una sofferenza. Ecco, immaginate la mia faccia quando, durante il decollo, ho guardato giù dal finestrino e la prima cosa che mi è venuta in mente è stata “meraviglia”. Poi poco più tardi guardo fuori e vedo quel tipo di blu che a terra vediamo solo dopo che ha piovuto, quando il cielo è talmente lucido da sembrare una cosa solida, che si può toccare. Insomma, credo che a volte grandi paure possano nascondere scoperte interessanti su noi stessi.
Poi nel 2016 ho avuto l’onore di incontrare i ragazzi del “We Fly Team”, l'unica pattuglia aerea al mondo in cui due dei tre piloti sono "disabili", che spesso si possono trovare all’aeroporto di Cremona Migliaro. Ed è in quel posto che poi piano piano ho conosciuto persone con le quali si è creato un bel legame di conoscenza e amicizia.
Fatto sta che il blu è diventato il mio colore preferito, dopo il nero ovviamente.


2 È stato emozionante? È stato difficile?”

E’ stato molto emozionante, difficile direi di no, non al livello in cui ho operato io comunque: non ho fatto davvero molto. Vorrei poter dire di avere alle spalle avventure da Barone Rosso ma non è nel mio carattere farlo. La verità è molto più semplice: in quanto completamente digiuna di corsi da pilota, io ho solo eseguito pochissime e semplici manovre in quota, sempre in piena sicurezza grazie all’istruttore Ettore Destri e all’aereo con doppi comandi. Un po’ come fare una lezione di scuola guida con l’auto, insomma. Quest’anno invece è stato Roberto Magnani a mettere a diposizione il suo aereo, insomma ho trovato tante persone gentili e disponibili. Mi ha colpita molto il senso di libertà che si prova in quella situazione. E mi piacciono le persone che ruotano attorno a quel mondo. Un aeroporto è un posto interessante per chi ha voglia di raccogliere storie. E le storie mi sono sempre piaciute tantissimo.
Ettore e Roberto sono stati molto generosi a spiegarmi tantissime cose che non sapevo, su come funziona un aereo, su come avvengono le comunicazioni e alcune manovre, e su come lavorano a quella quota le correnti ascensionali. Tutte nozioni che non conoscevo prima che loro me le spiegassero. Ecco, quando una persona mette a disposizione di qualcun altro il proprio bagaglio di conoscenze, io ritengo questa una grande forma di generosità: se vi capiterà di incontrare nelle vostre vite persone così, sappiatele ringraziare e rispettare perché stanno condividendo con voi non solo qualcosa che loro sanno, ma anche tutto il tempo e l’impegno che sono serviti a loro per studiare, dedicarsi e imparare ciò di cui vi hanno parlato. Insomma, condividere conoscenze non è un regalo da poco, è donare agli altri un pezzetto della propria vita. E’ un regalo molto importante, che va elargito e ricevuto con cura e rispetto.


3 “Sappiamo che per te spostarsi non è semplice, sei stata molto brava, dove trovi l’energia per vivere
nuove esperienze?’’

Le energie per fare cose nuove le trovo sempre dopo avere fatto una scelta. E’ un’insegnamento che ho imparato sulla base dell’esperienza e di un’osservazione che era stata abbastanza spiacevole da ricevere.
Spesso si pensa erronemante di poter fare proprio tutto nella vita, che energie, tempo e forze non si
esauriscano mai. In realtà le cose non stanno proprio così. Si viene posti sempre di fronte a una scelta, e per riuscire a dedicarsi a qualcosa, spesso è necessario rinunciare a qualcos’altro. Una volta, un traduttore dal tibetano mi disse “Ricordati che per ottenere lo stesso risultato di un’altra persona, tu dovrai faticare almeno cinque volte di più.” Non lo diedi a vedere, ma mi arrabbiai tantissimo perché sapevo che aveva detto il vero e che per me quella situazione era molto frustrante.
Però alla fine sono stata costretta a misurarmi con la realtà, perché una cosa che credo sia necessario fare è capire bene dove stanno i nostri limiti. Solo dopo averli conosciuti si può capire se e in che modo possono essere superati, o usati anche per capire in quale direzione della vita muoversi, cosa scegliere di fare o non fare.
Io cerco di scegliere quello che per me ha un Significato.
Ecco, cerco di inseguire le esperienze che mi fanno sentire viva e mi fanno crescere come persona. Magari subito non ho le idee chiare in merito a cosa mi insegnerà una nuova amicizia, o il fare qualcosa di nuovo, tentare una nuova piccola o grande impresa o continuarne una anche difficile. Ma se questa cosa, questa persona che sto conoscendo, anche queste domande a cui sto rispondendo mi danno la sensazione di poterne ricavare una riflessione, un insegnamento, o che il tutto mi possa rendere anche in piccolissima parte una persona migliore, ecco che secondo me ne vale la pena.


4‘’Complimenti per il tuo successo con “I Vampiri della Bassa”. Come hai avuto l’ispirazione? Le colline piacentine ti ispirano come i campi di Viadana?’’

E’ una cosa stranissima perché il romanzo è nato tutto come uno scherzo: una battuta tra me e l’editrice per cui all’epoca lavoravo come illustratrice. Si parlava di un’antologia a tema vampiri, e io avevo preso un po’ in giro questa ennesima rivisitazione del soggetto perché, pur amando molto il genere, lo vedevo un pochino inflazionato dopo l’uscita del film “Twilight”. In pratica avevo detto (in dialetto, ovviamente) che mancava solo il vampiro agricolo della bassa Viadanese, che ha problemi a lavorare nella melonaia in quanto, appunto, vampiro e non certo tanto amico del sole. La mia editrice, Solange Mela, aveva in pratica preteso un racconto, che poi si è trasformato in romanzo e ha dato vita al famigerato Vampiro della Bassa.
Nessuna delle due si aspettava un successo, anzi, eravamo convinte che avremmo venduto due, tre copie ad amici e che nessuno si sarebbe interessato a un’idea così fuori dagli schemi, davvero un po’ folle. Ma abbiamo voluto procedere lo stesso perché proprio quell’idea folle ci divertiva un sacco e ci faceva ridere.
Essendo nata nel viadanese, devo dire che qui mi sento più a casa mia. Ma dopo tanti anni di vita nel
piacentino, un po’ mi sento divisa in due. Mi viene in mente quello che mi diceva un’amica giapponese che vive a Torino, e che mi spiegava quanto le manchi l’Italia quando torna dalla sua famiglia a Osaka e di quanto le manchi il Giappone quando è a Torino.


5‘’Nei ‘’Vampiri della Bassa’’ parli di luoghi che per te hanno un significato particolare? I personaggi sono reali? Prendi spunto da persone che conosci?’’

Beh, i posti dei Vampiri della Bassa sono i posti dove sono nata e cresciuta. Tutti i personaggi del romanzo sono personaggi reali, un po’ rivisitati. Ho preso i tratti salienti di persone che conosco davvero, battute di spirito che mi avevano colpita, situazioni che sono state vissute nel paese di Sabbioni e le ho mescolate con tutta quella letteratura fantasy e science-fiction che mi piace, quindi HP Lovecraft, i vampiri in tutte le salse. Poi ci ho messo qualche leggenda metropolitana, extraterrestri, truffatori da rete televisiva di provincia. Insomma, in pratica è bastato guardarmi intorno e notare il lato grottesco delle cose che ci circondano per tirare fuori una parte delle storie del romanzo. L’altra parte è nata dalla domanda “e se?”. E se un vampiro si trovasse davvero a dover fare l’agricoltore nella Bassa Viadanese? E se atterrassero gli extraterrestri e rovinassero un campo di grano di un agricoltore mantovano? Da lì sono nate tutte quelle situazioni che pare abbiano fatto tanto ridere i lettori. Far ridere credo sia una bella cosa: si concede qualche minuto di buonumore a qualcuno, certo una felicità piccola piccola, ma penso sia importante riuscire a farlo.


6‘’La maestra ci ha fatto vedere alcune delle tue illustrazioni, sono notevoli, come fai a disegnare in modo così preciso e raffinato? Quali soggetti prediligi? Quando hai iniziato? C’è un’illustrazione per te speciale? A chi ti ti ispiri?

Grazie per tutte queste belle cose che mi dite. Disegno da quando ero piccolissima, come tutti credo. E’ sempre stata una delle cose che mi riuscivano meglio. Penso di essere molto precisa in quello che faccio perché purtroppo lo sono a livello caratteriale. Dico “purtroppo” perché essere perfezionisti non aiuta tanto, dato che ti porta spesso a non accontentarti mai di quello che fai. Non so se questo sia un fattore tanto positivo, perché in parte mi lascia sempre un po’ scontenta e con l’idea di non avere mai fatto abbastanza.
Disegno un po’ tutto quello che mi piace, non ho soggetti prediletti. Tempo fa per lavoro facevo illustrazioni dark-horror, ora disegno più per hobby. Mi piacciono molto però i ritratti e le persone, più dei paesaggi. I ritratti mi danno l’idea che nel progredire del lavoro, nel rubare i lineamenti di una persona e sommarli uno dopo l’altro sulla carta ci sia anche un po’ la capacità di comprenderne la personalità e il carattere.
Non mi ispiro particolarmente a qualcuno, anche se mi piace molto un pittore e incisore del rinascimento tedesco, Albrecht Dürer. Ne avevo studiato il lavoro durante gli anni dell’università e in parte per i miei disegni a penna in bianco e nero ho cercato di imparare dalle sue xilografie e acqueforti. Mi piace molto anche James O’Barr, il fumettista che creò “Il Corvo”, o Gustave Doré e Aubrey Beardsley. Mi piace quello che questi artisti trasmettono con il loro lavoro.
Dunque, sì, ho alcune illustrazioni per me speciali, ma essendo così speciali le tengo per me e non le ho mai pubblicate. Sembra strano forse, ma io resto convinta che ci siano cose che, sempre a causa dei Significati di cui parlavo poco sopra, vadano tenute e custodite per noi. E’ la linea che divide pubblico e privato che credo sia così difficile da capire in questi tempi dove tutto deve essere superficialemente condiviso. Ecco, le cose davvero davvero (la ripetizione è voluta) importanti, io sono solita tenerle per me stessa e per le persone che mi sono davvero vicine.


7” Per te non deve essere facile…Ci racconti se vuoi la tua lotta quotidiana con la malattia?’’

Beh, la lotta quotidiana con la malattia meriterebbe un intero romanzo, chissà mai che un giorno non mi venga voglia di intristire qualcuno e scriverlo sul serio. :)
Diciamo che per toccare questo argomento dovrei davvero avere a disposizione tanto, tanto tempo. Certo ci sono giornate dove le cose non vanno come vorrei, e alcune fasi della mia vita sono state davvero molto difficili, ma diciamo che sto cercando di adottare il “punto di vista Gallagher” sulla questione. E adesso vi spiego di cosa si tratta.
C’è un musicista che mi piace un sacco in quanto emerita faccia da schiaffi, ed è Liam Gallagher degli Oasis.
Una volta ha detto: “Penso che ogni tanto mi intristisco, ma non per molto tempo. Mi guardo allo specchio e faccio: Che figo della Madonna che sei!"
Ecco, non mi sento così sicura di me come lo è lui, ma il suo è un atteggiamento che, per quanto possibile, cerco di adottare come un antidoto per i momentacci. Solo per quelli eh, perché Liam Gallagher mi piace abbastanza da riuscire a non confondermi con lui. ;)


8‘’Sappiamo che sei sposata tuo marito ti aiuta a realizzare i tuoi progetti?’’

Per fortuna no. Mio marito resta lontanissimo da qualsiasi cosa io faccia, per volontà mia. Non sa cosa disegno, cosa scrivo, cosa faccio. Non sopporterei che qualcuno mettesse il naso nel caos dei miei progetti né in quello delle cose che mi piace fare. Lui ha accesso al mio laptop solo in quanto tecnico informatico, ma nulla in più di quello.
Nel nel mio caso il lavoro creativo necessita della solitudine per sapersi ascoltare. Ho bisogno di essere la sola a sapere dei miei progetti, per poterli gestire in piena libertà. Quando vengono pubblicati, allora e solo allora diventano di dominio pubblico e non sono più solo miei.


9‘’Cosa ti rende felice? Per te è importante la famiglia?’’

Ci sono un sacco di cose che mi rendono felice. Quelle di cui ho parlato fino ad ora, e aggiungerei viaggiare, passare del buon tempo in compagnia di me stessa o di buone persone, o ascoltare buona musica o leggere un buon libro, studiare una lingua straniera, imparare cose interessanti, conoscere persone, scambiare punti di vista. Anche rispondere a queste domande mi rende felice. :)
Ora, la famiglia. Per me famiglia, amici e affetti sono una componente non importante, ma
FONDAMENTALE, essenziale della vita. A cosa servirebbe avere tutto il superfluo del mondo, ma non l’essenziale?


10‘’Quale è stato il giorno più brutto della tua vita? E il giorno più bello?’’

Il giono più brutto e il più bello, dite? Bella domanda. Di giorni brutti ne ho avuti tanti, e non so bene quale potrebbe ricevere l’oscar della bruttura. Anche sul più bello sono indecisa, così penso vi racconterò di una cosa che ho notato, cioè che a volte i giorni più belli che potrete avere li vivrete in situazioni non proprio belle.
Ecco, vi faccio un esempio. Alcuni dei giorni più belli che io ricordi, sono quelli dei ricoveri che ho trascorso in ospedale per gli interventi chirurgici che ho dovuto fare. Assurdo? Forse, eppure è successo. In quelle situazioni ho conosciuto persone con le quali ho tuttora relazioni di amicizia, anche dopo più di vent’anni. E ricordo quante risate ci eravamo fatti quella notte che ci eravamo decisi, uno “stampellato” e l’altro col mal di schiena tipo “gobbo di Notre Dame” a mettere insieme biscotti, snacks, patatine e bibite per fare un picnic di mezzanotte nel mezzo della corsia, sopra una barella. O le battute coi medici, col chirurgo eccentrico e dal carattere un po’ alla Dottor House e l’infermiera simpatica che ti portava il caffè.
Sembra davvero incredibile pensarlo, eppure può succedere e da quanto mi risulta, dopo averne parlato con altre persone, noto che questo è un fatto più diffuso di quanto non si pensi. Forse siamo troppo abituati a dividere in categorie “bianco o nero” e non ci accorgiamo di quanto queste due tonalità sfumino spesso una nell’altra.


11‘’Ti è piaciuto essere intervistata da noi?’’
Moltissimo! :)


12‘’Siamo in quinta hai qualche consiglio per il nostro futuro?’’

Prendo in prestito il motto della pattuglia acrobatica “We Fly”, perché credo che siano capaci, a differenza della sottoscritta, del dono della sintesi.
Dare to Fly.
Osate Volare.

Vi ringrazio infinitamente per queste preziose domande, e vi saluto dal mio ultimo viaggio in Scozia, con una foto che mi piace molto perché quando è stata scattata ero molto felice. :)






martedì 12 giugno 2018

Democraticamente

Domenica mattina ho tirato fuori una gonna dall'armadio, e l'ho perfino indossata.
Locuste, cavallette, movimenti improvvisi di placche tettoniche, creazione di nuove faglie, astrofisici avvisati: esplosione di Betelgeuse attesa in giornata.
O forse il solito, monocromatico nero potrebbe funzionare come deterrente di cataclismi. Il vero pericolo sarebbero le fantasie tinte pastello a stampa floreale: evocazione di Cthulhu assicurata.

In realtà è stato tutto molto meno drammatico: un democraticissimo attacco reumatico e il pomeriggio fuori si sgonfia come un soufflé controllato durante la cottura.
Uèlcom bèc prednizone. Luv ya.



lunedì 26 marzo 2018

Itaca

"Se per Itaca volgi il tuo viaggio,
fa voti che ti sia lunga la via,
e colma di vicende e conoscenze.
Non temere i Lestrigoni e i Ciclopi
o Poseidone incollerito: mai
troverai tali mostri sulla via,
se resta il tuo pensiero alto, e squisita
è l'emozione che ti tocca il cuore
e il corpo. Né Lestrigoni o Ciclopi
né Poseidone asprigno incontrerai,
se non li rechi dentro, nel tuo cuore,
se non li solleva il cuore innanzi a te."


Costantino Kavafis : "Itaca"


mercoledì 31 gennaio 2018

L'inverno

Un tempo febbraio era un mese attesissimo dai bambini. Era una grande festa: arrivava il carnevale. Si teneva la sfilata per le vie del paese e si poteva trascorrere una giornata vestiti in maschera anche a scuola.
La neve capitava abbastanza spesso, e ricordo mia madre che cuciva vestiti di carnevale badando a scegliere tessuti spessi e pesanti. “A’s sa mai c’ag sìa la név”.

Per me il periodo compreso tra la fine di gennaio e l’inizio di febbraio aveva un’importanza diversa, racchiusa in un contesto familiare. Nelle campagne dove sono nata e scresciuta la dimensione stagionale del tempo si avvertiva con forza. E’ così anche adesso, pur se in maniera meno evidente.
Quando ero piccola la mia famiglia era composta non solo da mio padre, mia madre e mia sorella. Ma anche da uno zio, lo zio Felice, con la moglie, e da mia nonna.
Si aggiungevano lo zio Amleto, che viveva a Gualtieri con la famiglia; la famiglia dell'altra casa del nostro cortile e tanti altri personaggi del paese, amici di famiglia e conoscenti che arrivavano spesso in corte quando c’era da fare del lavoro: d’estate tagliare l’erba sugli argini e d’inverno aiutare magari a spalare la neve.
Quando nevicava, io sgattaiolavo a casa di mia nonna.
Mia nonna Elvira, che tutti chiamavano “Elena”, occupava un piccolo cucinino che si affacciava sul giardino e sulla “fuga” che portava alla strada sopra l’argine tra Sabbioni e San Matteo. La nonna stava seduta sull’ottomana di vecchio broccato fissato sul telaio di legno da lucide borchie di ottone. Faceva la maglia, un piede sulla sedia perché aveva il diabete e le dava sollievo tenere la gamba distesa, e un occhio alla strada.
Quando nevicava capitava che lei cucinasse qualcosa di speciale: i chisulàin con la polenta, focaccine dolci fritte nello strutto. Oppure la versione salata della mia merenda: il lardo pestato, da spalmare sulla polenta o sul pane caldo.
Me la ricordo ancora mentre si alzava con fatica dal divano, andava a prendere il lardo nel congelatore e preparava le braci nella stufa per scaldare il coltello col quale poi lo batteva, insieme ad aglio e prezzemolo. Un rituale che io, bambina, osservavo ammirata e del quale conservo tuttora nella memoria la solennità di ogni gesto. Benchè fossi troppo piccola per poter organizzare quel sentire in pensieri ordinati, capivo solo da quel modo di fare che "una volta" questo piatto era riservato alle occasioni importanti.
Non glielo dire alla mamma che abbiamo fatto merenda, che sennò dice che non mangi per cena", mi suggeriva lei con aria complice. Io annuivo e ricambiavo, mantenendo il segreto sulla bustina di zucchero a velo "risparmiata" dal pandoro di natale, che lei teneva nascosta dietro al radiatore per evitare di discutere con mio padre e i miei zii sul suo diabete e sul suo stato di salute.

Fuori il giardino era tutto bianco. Non la vedevi più, la fuga che portava all'argine, ormai coperta dalle piante col loro carico di fiocchi. A volte capitava di sentire, in mezzo a tutto quel silenzio, il rumore di una bicicletta che scendeva.
Allora sapevi che era arrivato Dondi, il vecchio che stava dall’altra parte dell’argine, con la casa nella golena dell'Oglio, e che tra un bicchiere di lambrusco e l’altro avrebbe scambiato con la nonna le ultime informazioni gli accadimenti del paese.
In questo modo si faceva arrivare la sera. Tra il crepitare del fuoco, il profumo della cena che sobbolliva sulla stufa e il silenzio della campagna coperta di neve.


giovedì 25 gennaio 2018

Portano ancora il tabarro dalle mie parti

I porta ancora al tabar da li me bandi

"I porta ancora al tabar
da li me bandi.
A ghè an vèc dal Ricovar Buris-Lodigiani
c'al sgh'invoia dentr'in fin i oc
cme s'al vrès dir
a vöi pö vedr'ansön.
I par usei
la gent in bicicletta.
Apena al pé
al toca ancor la tera
a turna in ment
col c'i evum vrü smangà."


Portano ancora il tabarro
dalle mie parti.
C'è un vecchio del Ricovero Buris-Lodigiani
che vi s'involta dentro fino agli occhi
come volesse dire
non voglio più vedere nessuno.
Sembrano uccelli
la gente in bicicletta.
Appena il piede
tocca ancora la terra
torna in mente
quello che avevamo voluto scordare.

Cesare Zavattini