martedì 19 aprile 2016

Abiti

E’ solo uno abbandonato sul divano accanto, in un’anonima sala d’attesa. Ha la faccia di un qualche tipo di rassegnazione che non riconosco.
Due parole per ammazzare il tempo. Prima che sia lui ad ammazzare noi.
"Tu sei molto… metal…"
Ha l’aria di Miranda Priestley de “Il Diavolo veste Prada” mentre lo dice. In effetti, lui porta qualcosa che ha pagato più di me.
Mi sale un sorriso di quelli che partono dalla stomaco prima di appiccicartisi alla faccia.
E' troppo intellettuale per sprecare tempo con abiti da poco. E ha capito tutto di me. Cioè che sono "metal". Dal fatto che quel giorno mi gira di tirare fuori all'armadio un giubbino di pelle: nero, cerniere, una enorme Union Jack cucita sulla schiena.
Che bello, penso. Se fosse inverno avrei messo il cappotto con gli alamari e i bordi di pelliccia, allora sarei Caterina di Russia. E la giacca militare con la passamaneria? Ecco, divento subito un Generale degli Ussari di Piacenza.
Lui invece indossa un'annoiata ostilità. Strutturata, giromanica imperfetto. Sdrucita e gli va pure stretta. Un modello di qualche anno fa, giurerei. Roba costosa, anche se sembra una tuta da ginnastica.
L'ho già notata nel modo in cui mi ha squadrato quando sono entrata. La radiografia di chi ha bisogno di catalogare le persone in simile o difforme. E io di simile non ho mai avuto niente. Nemmeno a volerlo.
Gli dico una battuta ma lui non coglie l'ironia. Arriccia il naso e tace. Si tira su la cerniera della sua annoiata ostilità fino a coprirsi la faccia.
Un po' mi viene da ridere e un po' mi dispiace. In uno scambio di tre parole abbiamo parlato solo di vestiti. Lui dei miei, io dei suoi. Che spreco.
Io il giubbino di pelle l'ho pagato poche decine di euro e me lo posso togliere quando voglio.
Il suo, di vestiti, non lo so mica da quanto è che non se lo leva. E non riesco a immaginare quanto gli sia costato.



Placebo: A Million Little Pieces